28 settembre 2008
14 settembre 2008
Yanquis de mierda, váyanse al carajo cien veces
Il vecchio Chavez ha messo a segno un altro colpo nella lotta per la liberazione dell'America Latina dalla letale influenza degli Stati Uniti e dei loro organismi internazionali. La cacciata dell'ambasciatore la aveva fatta anche Evo Morales (tra l'altro quello in Bolivia aveva un curriculum migliore nella istigazione di secessioni strumentali, con un brillante successo in Kosovo), ma la frase ad effetto, che nell'ormai ex cortile di casa ha un enorme valore simbolico, è tutta opera di Hugo.
In Italia si parla poco e male della liberazione in atto in America Latina (i paesi in prima fila sono ancora aumentati, con l'aggiunta del Paraguay e anche quelli più moderati, come Argentina e Brasile, prendono coraggio), se ne enfatizzano le contraddizioni, sia per cercare di neutralizzare l'effetto di esempio, sia perché nel gruppo degli sfruttatori internazionali ci sono anche aziende italiane, come la Telecom in Bolivia.
Se ne è parlato a una proiezione del bel documentario di Fulvio Grimaldi "l'asse del bene", girato in vari paesi dell'America latina, con tappe tra i forajidos, "quelli che scacciano tutti", dell'Ecuador o a Cochabamba della rivolta per l'acqua e del grandioso "me cago en la propriedad privada". Secondo Grimaldi l'Italia di oggi, con questo misto di smarrimento, assuefazione e rassegnazione, assomiglia all'Argentina di fine secolo scorso. Dopo la dittatura dei militari, dal 1976 al 1983, c'è stato un lungo periodo di dominio delle oligarchie con l'applicazione del neoliberismo friedmaniano, con la consueta ricetta di privatizzazioni, smantellamento dello stato sociale e depauperamento della popolazione a beneficio di pochi. Improvvisamente, a fine 2001, l'Argentina si è risvegliata, con i popolo dei cacerolazos, centinaia di migliaia di persone che ha detto di no alla svendita del paese, riprendendosi le piazze e poi il paese. Ma questo risveglio, sia pure improvviso, è stato preparato da piccoli focolai di resistenza, di lotta o di cultura: proiezioni, letture di poesie, occupazioni o blocchi stradali. Tutto ciò ha preparato quel paese al risveglio.
L'Italia, secondo Grimaldi, è nella fase antecedente al risveglio, ma deve cominciarsi a preparare alla nuova fase.
La militarizzazione del paese, le minacce di nuove Bolzaneto o Chiaiano in caso di proteste, leggi liberticide o operazioni finanziarie ai danni della popolazione, sono cose che l'America Latina ha già affrontato ed è riuscita a battere. L'Italia deve provarci.
In Italia si parla poco e male della liberazione in atto in America Latina (i paesi in prima fila sono ancora aumentati, con l'aggiunta del Paraguay e anche quelli più moderati, come Argentina e Brasile, prendono coraggio), se ne enfatizzano le contraddizioni, sia per cercare di neutralizzare l'effetto di esempio, sia perché nel gruppo degli sfruttatori internazionali ci sono anche aziende italiane, come la Telecom in Bolivia.
Se ne è parlato a una proiezione del bel documentario di Fulvio Grimaldi "l'asse del bene", girato in vari paesi dell'America latina, con tappe tra i forajidos, "quelli che scacciano tutti", dell'Ecuador o a Cochabamba della rivolta per l'acqua e del grandioso "me cago en la propriedad privada". Secondo Grimaldi l'Italia di oggi, con questo misto di smarrimento, assuefazione e rassegnazione, assomiglia all'Argentina di fine secolo scorso. Dopo la dittatura dei militari, dal 1976 al 1983, c'è stato un lungo periodo di dominio delle oligarchie con l'applicazione del neoliberismo friedmaniano, con la consueta ricetta di privatizzazioni, smantellamento dello stato sociale e depauperamento della popolazione a beneficio di pochi. Improvvisamente, a fine 2001, l'Argentina si è risvegliata, con i popolo dei cacerolazos, centinaia di migliaia di persone che ha detto di no alla svendita del paese, riprendendosi le piazze e poi il paese. Ma questo risveglio, sia pure improvviso, è stato preparato da piccoli focolai di resistenza, di lotta o di cultura: proiezioni, letture di poesie, occupazioni o blocchi stradali. Tutto ciò ha preparato quel paese al risveglio.
L'Italia, secondo Grimaldi, è nella fase antecedente al risveglio, ma deve cominciarsi a preparare alla nuova fase.
La militarizzazione del paese, le minacce di nuove Bolzaneto o Chiaiano in caso di proteste, leggi liberticide o operazioni finanziarie ai danni della popolazione, sono cose che l'America Latina ha già affrontato ed è riuscita a battere. L'Italia deve provarci.
12 settembre 2008
minime
Un candidato della coalizione di sinistra arrivò al villaggio di San Ignacio, in Honduras, durante la campagna elettorale del 1997. L'oratore salì sulla scala che fungeva da palco e di fronte allo scarso pubblico proclamò che la sinistra non corrompe il popolo, non vende favori in cambio di voti. Noi non diamo cibo - aggiunse - noi non diamo lavoro, noi non diamo denaro. E cazzo date allora? Domandò un ubriacone, che si era appena svegliato dalla siesta sotto un albero della piazza.
(Edoardo Galeano)
(Edoardo Galeano)
03 settembre 2008
L'eredità del cemento
La mostra "L'eredità del cemento - Quartiere radioattivo" dell'istituto polacco è stata presentata dalla stampa come se il vero tema fosse la condanna del socialismo reale. Ad esempio secondo un comunicato era "sul tema degli orrori edilizi delle unità abitative che costituiscono lo scenario metropolitano di tanta parte della Polonia uscita dal totalitarismo".
Probabilmente ci sarei andato lo stesso, poiché sono un grande appassionato dell'architettura a blocchi. E' un tipo di architettura molto diffusa nei paesi socialisti, ma non solo (la denominazione precisa sarebbe "edificio a pannelli prefabbricati", ma in Polonia sono chiamati familiarmente "blok" e userò "blocchi" o "architettura a blocchi" per il resto del post).
A Roma, ad esempio, ci sono state varie realizzazioni di questo tipo e anche qui c'è la facile corrispondenza tra architettura a blocchi e degrado. Eppure ad esempio il progetto di Pietro Barucci dei ponti di Laurentino 38 era ragguardevole, con la strada resa veloce per le automobili perché liberata da pedoni, e i ponti, pensati, oltre che per l'attraversamento stradale, per essere area pedonale su due livelli, con negozi al livello inferiore e servizi a quello superiore.
Ma servizi e negozi non furono mai realizzati e i locali vuoti furono occupati da altri senza casa. Il degrado sociale arrivò presto, seguito da quello strutturale. Così pochi anni fa è stato demolito uno dei ponti, da parte della giunta di Veltroni, che prendeva le distanze dal progetto e dalle giunte rosse degli anni '70, con la destra che applaudiva.
L'architettura a blocchi si ispira a Le Corbusier e alla sua idea di produzione standardizzata, basata su un modulo replicabile all'infinito.
Le idee di Le Corbusier trovarono terreno fertile nella Polonia del dopoguerra perché le città erano state praticamente rase al suolo, e si erano ripopolate con massicci fenomeni di industrializzazione e urbanizzazione.
I paradigmi modernisti furono però filtrati da specifiche condizioni economiche , sociali e politiche e quindi banalizzati e semplificati. Anche quando si aspirava alla copia conforme, come la Superjednovska di Katowice con l'unité d'habitation di Marsiglia, il risultato fu una specie di fratello povero.
Gli architetti furono estromessi dai progetti in favore dei politici (unica eccezione, che diede luogo a progetti ritenuti tuttora validi, fu quella dell'architetto-politico Halina Skibniewska).
I blocchi furono visti solo come un mezzo che permettesse di risolvere rapidamente il problema della scarsità di case, in maniera facilmente amministrabile centralmente e in modo che lo spazio fosse uguale per tutti.
Negli anni '50, per un breve periodo i polacchi ambivano ad abitare nei blocchi, che costituivano effettivamente un miglioramento delle condizioni abitative.
Più tardi progetti e materiali di costruzione peggiorarono e i servizi sociali inclusi nei progetti non furono realizzati per motivi economici. L'assenza di servizi, sommata ai materiali scadenti, ha portato a un rapido degrado di questi palazzi, principalmente degli interni.
Nei decenni successivi i blocchi erano diventati paesaggio consueto in Polonia.
Negli anni'80, ai tempi della canzone "Quartiere radioattivo" del gruppo punk Brygada Kryzys, che dà il titolo alla mostra, e della legge marziale, i blocchi erano visti come simbolo di omologazione di un sistema opprimente.
Oggi sono abitati in massima parte da persone che non possono permettersi case migliori.
Mentre in Germania, alcuni palazzi a blocchi sono stati demoliti, dopo essere stati abbandonati dagli abitanti, in Polonia ciò non è successo.
Interventi di riqualificazione sono auspicati, ma finora si sono limitati alla tinteggiatura in colori pastello.
D'altra parte dopo la caduta del comunismo, non si costruirono più blocchi, ma
a parte la presa di distanza ideologica, le nuove costruzioni, con quartieri recintati e ultrasorvegliati, hanno continuato l'opera di distruzione del tessuto sociale della città che è iniziata con i blocchi.
In Polonia circa il 30% delle abitazioni è realizzata a blocchi e dentro ci vivono circa dieci milioni di persone, cioè poco meno del 30% della popolazione.
Se il luogo dove si è cresciuti influenza sempre il lavoro di un artista, ciò è ancora più vero per i blocchi, che aspiravano a modellare in modo programmatico le menti dei suoi abitanti.
Curiosamente gli artisti sembrano affascinati proprio dagli aspetti più detestati dei blocchi: la possibilità di giocare con le forme replicabili, il fascino di una forma monotona e opprimente, la nostalgia per un passato che non c'è più.
Così ad esempio ci sono modelli di palazzi a blocchi realizzati a uncinetto con filo da calzolaio con base costituita da mobili polacchi originali anni '70 (Julita Wojcik), collage di fotografie di frammenti reali di blok che incollate vicine possono dare luogo a immagini di blok che non esistono nella realtà (Nicolas Grospierre), un blok in miniatura costruito a fianco a quello vero, con l'esterno che è copia dell'originale e l'interno che è delle dimensioni di un vero appartamento (Maciej Kurak). E poi il cinema, con blok (1982) di Hieronim Neumann carrellata muta di vita nel blok con la telecamera che invisibile si sposta negli appartamenti e Z mojego okna - Dalla mia finestra (Jozef Robakowski) in cui un videoartista filma la vista dalla sua finestra nel quartiere Manhattan di Lodz nel corso di 21 anni con commenti ironici e amari.
Nella foto, blok ad Almaty, Guantanamo, Tallinn, Ivanovo
Probabilmente ci sarei andato lo stesso, poiché sono un grande appassionato dell'architettura a blocchi. E' un tipo di architettura molto diffusa nei paesi socialisti, ma non solo (la denominazione precisa sarebbe "edificio a pannelli prefabbricati", ma in Polonia sono chiamati familiarmente "blok" e userò "blocchi" o "architettura a blocchi" per il resto del post).
A Roma, ad esempio, ci sono state varie realizzazioni di questo tipo e anche qui c'è la facile corrispondenza tra architettura a blocchi e degrado. Eppure ad esempio il progetto di Pietro Barucci dei ponti di Laurentino 38 era ragguardevole, con la strada resa veloce per le automobili perché liberata da pedoni, e i ponti, pensati, oltre che per l'attraversamento stradale, per essere area pedonale su due livelli, con negozi al livello inferiore e servizi a quello superiore.
Ma servizi e negozi non furono mai realizzati e i locali vuoti furono occupati da altri senza casa. Il degrado sociale arrivò presto, seguito da quello strutturale. Così pochi anni fa è stato demolito uno dei ponti, da parte della giunta di Veltroni, che prendeva le distanze dal progetto e dalle giunte rosse degli anni '70, con la destra che applaudiva.
L'architettura a blocchi si ispira a Le Corbusier e alla sua idea di produzione standardizzata, basata su un modulo replicabile all'infinito.
Le idee di Le Corbusier trovarono terreno fertile nella Polonia del dopoguerra perché le città erano state praticamente rase al suolo, e si erano ripopolate con massicci fenomeni di industrializzazione e urbanizzazione.
I paradigmi modernisti furono però filtrati da specifiche condizioni economiche , sociali e politiche e quindi banalizzati e semplificati. Anche quando si aspirava alla copia conforme, come la Superjednovska di Katowice con l'unité d'habitation di Marsiglia, il risultato fu una specie di fratello povero.
Gli architetti furono estromessi dai progetti in favore dei politici (unica eccezione, che diede luogo a progetti ritenuti tuttora validi, fu quella dell'architetto-politico Halina Skibniewska).
I blocchi furono visti solo come un mezzo che permettesse di risolvere rapidamente il problema della scarsità di case, in maniera facilmente amministrabile centralmente e in modo che lo spazio fosse uguale per tutti.
Negli anni '50, per un breve periodo i polacchi ambivano ad abitare nei blocchi, che costituivano effettivamente un miglioramento delle condizioni abitative.
Più tardi progetti e materiali di costruzione peggiorarono e i servizi sociali inclusi nei progetti non furono realizzati per motivi economici. L'assenza di servizi, sommata ai materiali scadenti, ha portato a un rapido degrado di questi palazzi, principalmente degli interni.
Nei decenni successivi i blocchi erano diventati paesaggio consueto in Polonia.
Negli anni'80, ai tempi della canzone "Quartiere radioattivo" del gruppo punk Brygada Kryzys, che dà il titolo alla mostra, e della legge marziale, i blocchi erano visti come simbolo di omologazione di un sistema opprimente.
Oggi sono abitati in massima parte da persone che non possono permettersi case migliori.
Mentre in Germania, alcuni palazzi a blocchi sono stati demoliti, dopo essere stati abbandonati dagli abitanti, in Polonia ciò non è successo.
Interventi di riqualificazione sono auspicati, ma finora si sono limitati alla tinteggiatura in colori pastello.
D'altra parte dopo la caduta del comunismo, non si costruirono più blocchi, ma
a parte la presa di distanza ideologica, le nuove costruzioni, con quartieri recintati e ultrasorvegliati, hanno continuato l'opera di distruzione del tessuto sociale della città che è iniziata con i blocchi.
In Polonia circa il 30% delle abitazioni è realizzata a blocchi e dentro ci vivono circa dieci milioni di persone, cioè poco meno del 30% della popolazione.
Se il luogo dove si è cresciuti influenza sempre il lavoro di un artista, ciò è ancora più vero per i blocchi, che aspiravano a modellare in modo programmatico le menti dei suoi abitanti.
Curiosamente gli artisti sembrano affascinati proprio dagli aspetti più detestati dei blocchi: la possibilità di giocare con le forme replicabili, il fascino di una forma monotona e opprimente, la nostalgia per un passato che non c'è più.
Così ad esempio ci sono modelli di palazzi a blocchi realizzati a uncinetto con filo da calzolaio con base costituita da mobili polacchi originali anni '70 (Julita Wojcik), collage di fotografie di frammenti reali di blok che incollate vicine possono dare luogo a immagini di blok che non esistono nella realtà (Nicolas Grospierre), un blok in miniatura costruito a fianco a quello vero, con l'esterno che è copia dell'originale e l'interno che è delle dimensioni di un vero appartamento (Maciej Kurak). E poi il cinema, con blok (1982) di Hieronim Neumann carrellata muta di vita nel blok con la telecamera che invisibile si sposta negli appartamenti e Z mojego okna - Dalla mia finestra (Jozef Robakowski) in cui un videoartista filma la vista dalla sua finestra nel quartiere Manhattan di Lodz nel corso di 21 anni con commenti ironici e amari.
Nella foto, blok ad Almaty, Guantanamo, Tallinn, Ivanovo
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