18 ottobre 2015

David Foster Wallace


Chiunque giudichi Foster Wallace un genio letterario dovrebbe essere incluso nel Pantheon degli imbecilli. (Bret Easton Ellis)

Quello che succede di solito è che di David Foster Wallace si ignora tranquillamente per anni l'esistenza, poi piano piano il nome comincia a ricorrere, scritto anche da persone di cui vi fidate. Prima o poi vi capiterà di imbattervi in testi su di lui scritti nel suo stile, con tanto di note a pié di pagina, o di consigli da dove cominciare, ché sembra che se si comincia dal libro sbagliato il risultato può essere deludente.
Risultato, mi è venuta la curiosità ed eventualmente chiedermi come ho fatto a vivere tutti questi anni senza conoscere Wallace.
Come da indicazioni ho iniziato da Una cosa divertente che non farò mai più. L'origine è piuttosto nota. Wallace fu inviato dalla rivista Harper's su una crociera nei Caraibi per descrivere l'esperienza.
Ne è uscito un saggio brillantissimo in cui mette in evidenza le nevrosi e i tic della società consumistica americana inframezzi da infinite divagazioni su nevrosi e tic suoi e mille altri argomenti. Il risultato è molto divertente anche tenendo presente che l'argomento è di quelli che trovano facilmente condivisione in molti lettori, me compreso.
Ho trovato particolarmente istruttiva la notizia che la compagnia della crociera, così come tutti gli ufficiali, fossero greci: la Grecia viene rappresentato oggi nelle cronache come un paese economicamente disastrato, eppure una tassa patrimoniale sui super ricchi fu bocciata dalla trojka europea.
Una nota sulla traduzione,  realizzata anche da Francesco Piccolo, che conosciamo anche come sceneggiatore nei film di Nanni Moretti. Siccome pochi  nel 1998 sapevano cosa fosse il GPS,  è comprensibile tradurlo PSG. Però direi che il long island ice tea non fosse così sconosciuto, e tradurlo tè freddo long island fa pensare che sia appunto tè e non un cocktail. Dell'inopinata eliminazione del supposedly nella traduzione del titolo, che cambia totalmente il senso della frase (bastava tradurre "una cosa considerata divertente" oppure "teoricamente divertente), è probabilmente responsabile l'editore. Editore che nelle pagine finali si vanta di aver scoperto Wallace fuori dalla lingua inglese, ci racconta l'archetipico aneddoto per cui Wallace era diventato isterico dopo una settimana di uso di un cable tv da 1000 canali, perché continuava a fare zapping di continuo e quando si fermava perché aveva trovato un programma interessante, doveva riprendere subito per l'angoscia di perdere qualcosa di interessante su qualche altro canale. Ma non ci spiega perché ha sezionato in due "A supposedly fun thing" pubblicando solo uno dei saggi e lasciando gli altri in una pubblicazione successiva, per cui ha dovuto inventare il titolo di "Tennis, TV, Trigonometria, Tornado e altre cose divertenti che non farò mai più".
Che è poi il secondo che ho letto. E il motivo si capisce subito, perché i sei saggi contenuti non sono così brillanti e/o comprensibili al lettore italiano. Due del 1990 non hanno neanche le note. I più godibili sono i due sul tennis, con inevitabili riferimenti alla biografia dello scrittore che lo ha praticato agonisticamente a livello giovanile, un reportage dietro le quinte del set di Strade Perdute di David Lynch (Wallace è soprendentemente preparatissimo su Lynch e la sua prosa rende stridente la differenza con lo stile paludato dei critici cinematografici) e l'esilarante reportage sulla fiera agricola dell'Illinois che si estende a un trattato antropologico sull'abitante del midwest.
Quello sulla tv americana è invece troppo pieno di riferimenti per essere comprensibile a un lettore fuori dagli stati uniti.

Ho poi visto "The end of the tour", che in Italia dovrebbe uscire nel febbraio 2016, ma per strane cose che succedono nei cieli ho visto, doppiato in italiano, su un volo Iberia a fine dicembre 2015. Tratto dal testo di David Lipsky "Although of Course You End Up Becoming Yourself: A Road Trip With David Foster Wallace" (titolo molto alla Wallace), che in italiano è diventato più banalmente "Come diventare se stessi: David Foster Wallace si racconta". E' molto suggestivo pensare di andare a conoscere e parlare con il vero Wallace, ed è questo che si racconta nel film. Certo, non si può non pensare ai vari filtri: quello operato da Lipsky alle conversazioni su nastro, quello del film e quello della traduzione/doppiaggio. Wallace è mostrato con una persona molto profonda e riflessiva, con   stranezze e sbalzi d'umore un po' scontati. Neanche il personaggio di Lipsky sembra uscirne benissimo. Forse gli autori del film volevano mostrare che gli scrittori sono meno interessanti delle cose che scrivono.






Nessun commento: