Dal manifesto di oggi.
In genere non mi piace copia-incollare cose che trovo su internet, perché è un gesto che non aggiunge nulla. Però faccio un eccezione, perché questo articolo resterà on line solo una settimana e perché non potrei mai scrivere da solo un post come questo articolo, non conoscendo un caso di precarietà così esemplare (e che parla così bene, tra l'altro).
Come Massimo, ci sono milioni di persone che vivono male solo per far risparmiare qualche soldo al loro datore di lavoro, che talvolta è un ente pubblico o lo stato stesso.
Il 20 ottobre, ma non solo quel giorno, si può fare qualcosa per loro.
La Scala replica lo «stagionale»
Di «lusso» - 25 mila euro l'anno - ma pur sempre precario. Massimo, 49 anni, lavora al call center del teatro milanese. La vita? «È altrove». Nei libri e in montagna
Manuela Cartosio
Milano
Da giovane suonava il sax. Gli è rimasto un fraseggio a strappi, ogni strappo una citazione. Il tempo di bere un caffé e parte la prima: «Come diceva Rimbaud, la vita è altrove». Altrove rispetto al «bunker», lo stanzone nel mezzanino della metropolitana in piazza Duomo dove Massimo Berni, 49 anni, lavora dal 1992 all'Infotel del Teatro alla Scala. Sei ore e venti minuti al giorno, sei giorni la settimana, per undici mesi all'anno fornisce informazioni sugli spettacoli in cartellone, su come e dove prenotare i biglietti «a gente che mediamente confonde un'opera con un balletto e che stramazza quando scopre che Wagner dura quattro ore». Contratto da «stagionale», anche se ormai la stagione della Scala è sempre più lunga (da settembre a luglio 26 alzate di sipario al mese), reiterato ogni anno, per non «sfondare» la pianta organica, risparmiare sul costo del lavoro, tenere la gente sulla corda della precarietà. Gli «stagionali», variamente precari, alla Scala sono circa 400 (i dipendenti fissi sono il doppio).
Massimo, diploma da corrispondente in lingue estere, il '77 come cifra politica e culturale, classica trafila di lavorettti mordi e fuggi quasi tutti in nero, alla Scala è entrato nell'86 come «maschera». Contratto a prestazione occasionale, pagato «a cartellino», «in divisa nera rimediavo 700-800 mila lire al mese». Nel '92 passa al call center dove resta ancora per cinque anni «a cartellino», fino al '97 quando arriva il contratto da stagionale. «Ebbene sì, adesso sono un precario di lusso». 24 mila euro l'anno, con contributi, ferie, malattia, tfr «che mi tengo ben stretto», sussidio di disoccupazione per il mese scoperto. Quello alla Scala per Massimo è il «primo lavoro», nel senso che da lì vengono «la busta paga e il welfare». Lo fa senza feeling, senza passione: «Timbro e basta, come in fabbrica. Il lavoro è routine senza prospettive di cambiamento, lo faccio in apnea». Orgoglio d'appartenenza? «Neanche un briciolo. La Scala è un bottegone, specchio fedele di questa brutta Italia, mi sono disamorato». Le gratificazioni vengono dal secondo lavoro, revisione di bozze per Egea, la casa editrice della Bocconi. Cinquemila euro l'anno, collaboratore occasionale a ritenuta d'acconto. Sveglia alle cinque di mattina quando bisogna consegnare il malloppo, «campare solo con i libri sarebbe l'ideale, purtroppo non si può». E arriva l'altra citazione, sorprendente sulla bocca di un ex Sessantasettino con l'immaginetta di San Precario nel portafogli: il Martin Eden autodidatta di Jack London, lettura base tanto tempo fa di generazioni di militanti comunisti. «Vengo da una famiglia povera che considerava la lettura e lo studio la strada maestra per emanciparsi». Non è andata esattamente così: «La mia è la prima generazione che sta peggio dei genitori». Non servono buone letture per rispondere a un call center. Il lavoro «moderno» non è solo precario, dissipa intelligenza e cultura, l'esatto contrario della cosiddetta società della conoscenza e della formazione permanente. Massimo ne ha preso atto e ricava le sue «soddisfazioni interiori» non dal «primo» lavoro, ma dai libri: «Esisteranno sempre e da vecchio, se gli occhi non mi tradiranno, potrò dedicarmi solo a quelli». Da «vecchio» significa tra una dozzina d'anni quando maturerà la pensione volontaria che si sta facendo con l'Ina (versa 110 euro al mese) da sommare a quella «sicuramente povera» della Scala.
Figli? «Non ne voglio per scelta. Ho una gatta». Moglie? «Fidanzata convivente. Lei sì che è una precaria dura. Lavora per il comune di Milano come animatrice socio-culturale, contratti da 4 mesi, 400 euro al mese a part time. Va avanti così dal 1995. Quando si avvicina la scadenza del contratto, Sara comincia ad avere lo sguardo nel vuoto. Se stai sulle balle al dirigente di zona, rischi. Se il dirigente vuol passare il lavoretto al figlio dell'amico, idem». Casa? «Sono fortunato, 55 metri quadrati a 500 euro al mese, mezzora di metropolitana da piazza Duomo. Riesco a mettere da parte qualcosa ma finora non ho pensato a mutui o roba simile». Tempo libero? «Trekking in montagna. Con un solo giorno libero alla settimana di strada non ne fai molta. Qualche volta prendo un giorno di ferie e l'attacco al turno di riposo». Amici? «Conto sulle dita di una mano quelli con un lavoro fisso. Pochi quelli con figli. Non solo per ragioni economiche, ma per la fatica di mettere insieme i tasselli e i tempi di una vita precaria».
Politica, sinistra, sindacato, governo Prodi e affini? «Omissis». E' una battuta, perché poi Massimo dilaga. Riassumendo: si qualifica un «anarchico-ecologista» che ha votato alle ultime elezioni per buttare giù Berlusconi, «pura delinquenza organizzata». Bisognava farlo, «anche se lo sapevo che il centro sinistra è puro liberismo, sempre 'sto chiodo di pareggiare i conti, si fa dettare la linea dalla Bce». La legge 30 è sempre lì, nonostante le promesse programmatiche, e comunque il peccato originale sta nel pacchetto Treu. Il tempo per il governo Prodi è «ampiamente» scaduto, il giudizio su Rifondazione è «ampiamente» negativo. E però - disattenzione o bontà d'animo? - la sentenza «bisogna far cadere il governo» il nostro interlocutore non la pronuncia. Massimo non è iscritto ad alcun sindacato. Boccia il protocollo sul Welfare, ma si capisce che la cosa non è in cima ai suoi pensieri. Il sindacato, «guai se non ci fosse, il problema sono i sindacalisti, difendono solo quelli che hanno la tessera, una roba che non mi aspettavo dai figli di Di Vittorio». Alla Scala salva alcuni delegati, «eletti dai lavoratori», va giù pesante su «burocrati» e segretari di categoria. Rimprovera alla Cgil d'aver «scoperto» i precari «quando eravamo già 3 milioni, un po' tardi». Sul grillismo è diviso: «Capisco lo sbotto, il ceto politico se lo merita tutto, ma ne percepisco la pericolosità». Sul Pd manco lo interroghiamo. E, sua sponte, Massimo detta: «E' autoeletto, autocelebrativo, autoreferenziale. Pussa via».
A un uomo di mezza età, che da giovane aveva sentito il fascino del rifiuto del posto fisso, chiediamo un bilancio. «La nostra utopia è stata realizzata in versione capitalistica». I padroni dalla flessibilità e dalla precarietà hanno ricavato due utili: uno economico, pagano meno la forza lavoro; l'altro politico-sociale, hanno frantumanto la classe. «Una volta centomila in piazza chiedevano la stessa cosa, adesso ognuno chiede la sua cosetta». Dunque, è sconfitta? «Su tutta la linea». Non tanto per le condizioni materiali di vita e di lavoro, «le mie tutto sommato sono discrete». Quanto per il paese che ne è venuto fuori: «La società italiana non è mai stata tanto feroce, ignorante, cafona, impermeabile all'altro. Io, io, io. Gli italiani non sanno dire altro. Io, il più lurido dei pronomi, questo pidocchio del pensiero, come diceva Gadda».
Urge un secondo caffé, per tirarsi su. Zuccherato con un ricordo non dei tempi in cui Berta filava ma di pochi anni fa: «Alla Scala siamo stati gli unici in piena epoca Berlusconi a vincere due a zero. Volevano segare tutti i precari e far fuori pure dei fissi. Non ci sono riusciti».
Il 20 ottobre trekking a Roma? «Ci sto pensando».
5 commenti:
Caro Conte,
grazie per questo post.
Io il 20 non ci sarò, e non solo perché Roma è lontana (chiedo scusa per il mio ragionamento tipo “non disturbare il manovratore”, ma finché l’unica alternativa a questo governo è Berlusconi, me lo tengo stretto…). Però condivido in pieno l’amarezza di Massimo. Quindici anni fa volevamo qualcosa di meglio della famiglia e del posto fisso che avevano i nostri genitori; oggi se facciamo un confronto con i nostri padri alla nostra età, il bilancio è invece ampiamente a nostro sfavore…
P.S.: Massimo ha ragione pure sull’ignoranza e, talvolta, la stupidità di chi viene a comprare i biglietti per la Scala. Ricordo che ai concerti punk del centro sociale non c’era l’arroganza e la maleducazione che ho trovato in fila alla biglietteria della Scala!
Un abbraccio a tutti quelli che riescono a rimanere in piedi.
Pensatoio
@primaticcio:
in effetti leggendo la parte sul pubblico della scala ho pensato alle considerazioni che avevi fatto.
Riguardo alla manifestazione, non credo che l'obiettivo sia far cadere il governo, ma piuttosto cercare di fargli recepire quelle istanze che premono a una parte di elettorato che lo ha votato, in contrapposizione al dini di turno che cerca di tirarlo dall'altra parte. Vedremo.
@pensatoio:
magari ne parlassero di più...
Toccante. Nel senso che la situazione di Massimo tocca da vicino anche me. Che fare? Il 20 Ottobre alla luce del referendum sul protocollo, che valore assume?
Mala tempora....
@tela:
bentornato.
Il referendum sul protocollo si è rivelato una trappola, a posteriori.
Il 20 ottobre secondo me si deve provare a essere in tanti, per dimostrare che una cosa sono tante persone in una piazza e un'altra sono numeri e schede di una votazione organizzata da una parte in causa.
Poi bisognerà pensare a una strategia più efficace per il dopo: per ora temo che non c'è.
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