06 febbraio 2008

brasile

Scrivere delle impressioni su un paese come il Brasile può sembrare velleitario, poiché in un mese se ne può vedere solo una piccola parte. La stessa sensazione si ripresenta in ogni grande città brasiliana, di cui non si riesce mai a capire dove siano i confini.
E le ben note disuguaglianze sociali fanno sì che esistono molti paesi in uno. A guardare alcuni servizi si può considerare il Brasile un paese prospero e progredito, ma poi le favelas o le persone che dormono per strada raccontano un'altra storia.
Sulle favelas (che sono simili a quelle che si vedono in praticamente tutta l’america latina) i brasiliani hanno uno strano sentimento di consapevolezza e rimozione allo stesso tempo. Le favelas sono nate con l'abolizione della schiavitù, decretata malvolentieri alla fine dell'800 dai regnanti brasiliani a seguito delle pressioni soprattutto inglesi. Gli schiavi liberati, ma privati improvvisamente di sostentamento e di un posto dove vivere, hanno costruito fuori dal perimetro delle città le loro case, continuando il più delle volte a lavorare per i loro ex padroni.
Eppure la prima mappa di rio de janeiro comprendente le favelas è stata pubblicata solo nel 1994.
Per capire il processo di rimozione operato dai brasiliani, si può pensare alle versioni di favelas che ci sono nelle città italiane. Non mi riferisco alle borgate cantate da Pasolini della metà del 900, le cui case, oggi, dopo sommarie ristrutturazioni, sono vendute a centinaia di migliaia di euro con l'edulcorata definizione di "soluzione indipendente", ma alle vere baraccopoli di oggi: ad esempio a Roma ce n'è una sulla strada che porta ai campi sportivi di tor di quinto, via del baiardo (chiunque gioca a calcio a Roma probabilmente c'è passato). I giornali non ne parlano mai, a parte, e solo per qualche giorno, in occasione di fatti di cronaca nera accaduti nei dintorni, e molti ne ignorano l'esistenza, mentre altri probabilmente ritengono che non sia un problema delle istituzioni vista la nazionalità dei suoi abitanti; di fatto un quartiere di baracche costruite con legno e materiali di recupero è presente nella città di Roma, senza che ciò sia percepito come un problema. Un sentimento simile è presente anche in Brasile.
Il divario sociale produce ad esempio quello che in Italia si chiama turismo sessuale e in Brasile, più semplicemente, prostituzione. Deve essere un fenomeno ampio se negli alberghi di tutte le città di una minima grandezza c’era il divieto di ricevere prostitute. Se qualche cliente proveniente dall’Italia può vedere il fenomeno con più romanticismo del necessario, in Brasile lo chiamano esattamente per quello che è.
Se il divario sociale trae origine dalle vicende storiche del paese, a partire dal colonialismo, esso è stato però ampliato da vent'anni di dittatura, da fine anni '60 a metà anni '80 e successivamente, quando hanno ripreso ad esserci le elezioni, dalle politiche di presidenti neoliberisti che applicavano le direttive del fondo monetario internazionale.
Lula quindi si è trovato nella curiosa situazione in cui lo stato delle ingiustizie sociali non poteva che migliorare, ma d’altra parte era praticamente impossibile da risolvere.
Ad esempio ha varato il controverso programma "fome zero", che si proponeva di debellare il problema della fame, esistente in sacche di disagio sociale oppure in relativamente ristrette aree geografiche soggette a calamità o siccità; la morte di alcuni bambini indios è stata l'occasione per gli avversari politici di dichiarare il fallimento del programma. Nelle città invece il cibo abbonda, mentre drammatiche sono le condizioni dell'istruzione, con una grande percentuale di analfabeti, e della sanità pubblica. In generale i servizi pubblici sono stati smantellati negli anni '90. Le imprese pubbliche sono state privatizzate, ad eccezione della petrobras. Ciò ha portato, ad esempio, alla quasi scomparsa delle ferrovie, mentre la compagnia aerea di bandiera, la varig, è stata lasciata fallire per poi essere ricomprata da proprietario di una compagnia privata concorrente e rimessa in piedi in versione ridotta (destino a cui è stata condannata anche l’Alitalia).

Eppure le ricchezze naturali del paese sono enormi. Oltre all'autosufficienza petrolifera, si produce molto bio-carburante, ricavato in massima parte dalla canna da zucchero. La produzione agricola è molto fiorente e aumenta negli anni. Aumenta anche la superficie dedicata a coltivazioni, a scapito delle foreste amazzoniche (la difesa dell’ambiente e la salvaguardia dei pochi nativi rimasti sono considerati incompatibili – quindi sacrificabili - con le esigenze dell’impresa capitalistica).
Con una punta di orgoglio, ad esempio, una pubblicità enunciava che l'asfalto della pista di Interlagos era 100% brasiliano. E i tra i prodotti industriali a basso costo, molti sono made in brazil, i prodotti cinesi non hanno sfondato come nel resto del mondo.
Il costo della manodopera è molto basso, cosa che permette di vedere scene inusuali, come le folle di commessi dentro ai negozi o gli staff di pulitori che ai capolinea della metropolitana dopo ogni corsa salgono a pulire i vagoni.
Molto fruttuoso è il business della sicurezza. Porte blindate, cancelli, allarmi, recinzioni elettrificate, polizia privata, portieri armati in servizio 24 ore a guardia dei “predios”, i palazzi a molti piani, a loro volta preferiti dai brasiliani di ceto medio perché ritenuti più sicuri.
La ricerca di sicurezza ha causato la blindatura delle vite delle persone più abbienti e generato un “razzismo da censo” che dicono essere molto diffuso, mentre meno diffuso di altri paesi dicono sia il “razzismo da pelle”.

La liberalizzazione dei costumi è molto avanzata: ad esempio sono diffusissimi, e usati senza problemi, i motel, alberghi ad ore. Di contro l'aborto non è legalizzato.
Contrariamente a quello che accade qui, la chiesa cattolica è in piena crisi e ha perso moltissimo seguito, confluito nella miriade di altre chiese cristiane. In Italia si è parlato di quella seguita da Kakà, "renascer", che però ha proprio come unica particolarità quella di ricevere pubblicità gratuita dalla vocazione dell'ingenuo calciatore. Come renascer, quasi tutte hanno dei patriarchi con problemi giudiziari e blindati in lussuosissime ville a Miami o a San Paolo e quasi tutte hanno un flusso crescente di fedeli. Ciò che cambia sono i riti e i luoghi di insediamento. Se la "igreja universal do reino de deus" ha chiese faraoniche, somiglianti a centri commerciali, gli amati "shopping" dei brasiliani, la "assemblea de deus" ha chiese modeste ma molto numerose. Il contrasto è stridente: nelle chiese di epoca coloniale, amministrate dalla chiesa di roma, alla messa domenicale non c'era più di una decina di persone.

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